Il viaggio degli hibakusha con Peace Boat

Peace Boat, la “nave della pace”, ovvero come lavorare per la pace girando il mondo. Si potrebbe riassumere così la singolare storia di questa Ong internazionale nata in Giappone, che vuole  promuovere la pace e la sostenibilità ambientale, e mettere in discussione la storia ufficiale del Giappone: e lo fa soprattutto organizzando viaggi a bordo di una grande nave da crociera. La storia è cominciata nel 1983, per l’appunto con una nave  affittata (a prezzi stracciati grazie a una prenotazione disdetta) da un gruppo di studenti che volevano conoscere il mondo.

Volevano scoprire la verità sulla storia contemporanea: diffidavano dei testi scolastici che spacciavano le invasioni nipponiche nell’Asia nella prima metà del ‘900 per una semplice «espansione della nazione», negando gli atti criminali commessi dall’ esercito imperiale contro le popolazioni locali. Mistificazioni storiche che continuano a pesare nelle relazioni tra il Giappone e i vicini asiatici, i paesi allora aggrediti.

Col tempo quel viaggio è diventato un’istituzione. La “crociera” infatti si è ripetuta, ogni volta portando gruppi di giapponesi a contatto con gruppi della società civile dei paesi visitati. Peace Boat si è consolidata e ha ampliato la sua attenzione dai conflitti ai problemi della sostenibilità ambientale, diventando una sorta di «crociera del pianeta Terra».

Anche per questo dal 2008 la Peace Boat invita gruppi di hibakusha, termine che significa letteralmente «esposti alle radiazioni atomiche» : sono i sopravvissuti al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e il 9 agosto 1945. A tutt’oggi 150  hibakusha hanno girato il mondo con la Peace Boat per portare la propria testimonianza sugli effetti delle armi atomiche e fare appello al disarmo nucleare (nel 2013 hanno fatto scalo anche in Italia, a Civitavecchia, dove ho incontrato alcuni di loro).

Dentro il fumo

Gli hibakusha sono i testimoni del primo e finora unico bombardamento nucleare della storia umana. In quell’agosto 1945 la seconda guerra mondiale era ormai agli sgoccioli quando i bombardieri degli Stati uniti d’America hanno sganciano sulle due città giapponesi quelle bombe di un nuovo tipo, mai sperimentate prima: il primo assaggio di cosa potrebbe essere un olocausto nucleare, almeno 150 mila morti in poche ore (alcune stime arrivano a 300 mila), quasi tutti civili. Poco dopo il Giappone firmò la resa, e la storia tramandata in Occidente è che quel bombardamento, per terribile che fosse, era  necessario per piegare una potenza aggressiva e mettere fine alla guerra. Verità contestata, perché il Giappone era già allo stremo e aveva mandato segni di volere l’armistizio. Ma le esplosioni atomiche su Hiroshima e Nagasaki segnavano anche l’ascesa di un altro tipo di forza bellica, capace di annichilire: e ovviamente hanno affermato la potenza che era stata capace di esercitare quella forza schiacciante.

Anni fa uno scrittore giapponese, lo scomparso Makoto Oda, mostrava una foto aerea del bombardamento a tappeto di Osaka, nel 1945, alla vigilia della capitolazione del Giappone: scattata dalle forze armate americane, mostrava la nuvola di fumo e gas che avvolgeva la città. «Io ero là, dentro il fumo», diceva Oda per spiegare l’essenza della sua militanza per la pace (in Dentro il fumo. Colloquio con Makoto Oda): la guerra viene raccontata in termini di potenza militare, attacchi, ritirate, mai dal punto di vista dei comuni esseri umani che ne sono coinvolti e ne subiscono le conseguenze.

Gli hibakusha erano “dentro il fumo”. Sono i testimoni di questa tragedia; poiché la loro età media supera ormai i 78 anni, il loro è un messaggio urgente, dicevano i partecipanti al viaggio di Peace Boat un paio d’anni fa, per «passare il testimone alle generazioni successive». Nei loro pellegrinaggi con la Peace Boat hanno incontrato hibakusha di Corea del Sud, Canada, Stati uniti, Brasile, i sopravvissuti all’Olocausto a Auschwitz, le vittime dell’Agente Orange/diossina durante la guerra americana in Vietnam. La loro, dicono, è una testimonianza rivolta al mondo intero, e in particolare a tutti coloro che sperimentano guerre, violenza, povertà, disastri ambientali in un mondo dove si moltiplicano i focolai di tensione.

@fortimar