L’economia dell’oppio non è in crisi

In Afghanistan un campo di papaveri rende molto più di uno di grano: e la produzione di oppio ha raggiunto livelli record, nonostante gli ormai 7,6 miliardi di dollari spesi dagli Stati uniti in misure per contrastare la produzione di narcotici. Così osserva l’ultimissimo rapporto diffuso dall’Ispettore generale speciale per la Ricostruzione in Afghanistan (Sigar), l’ente di controllo istituito dal governo degli Stati uniti per verificare come viene speso il denaro riversato nel paese centroasiatico.

Tra i fallimenti delle missione occidentale in Afghanistan, quello del papavero è rivelatore. Il raccolto afghano di oppio ha toccato livelli record l’anno scorso (i dati complessivi del 2014 non sono ancora noti). L’Ispettore americano si basa sui dati del Rapporto 2013 del Unodc, l’Ufficio dell’Onu per le droghe e la criminalità, secondo cui la superficie coltivata a papavero è salita a 209 mila ettari (il record precedente, nel 2007, era 193mila ettari), cioè oggi è tre volte maggiore che nel 1994, quando i Taleban arrivarono al potere. Il raccolto 2013 è stato stimato in 6.060 tonnellate nel 2013, il 49 percento più dell’anno precedente.

«Con il deterioramento della sicurezza in molte zone dell’Afghanistan rurale e i bassi livelli di eradicazione dei campi di papavero, è probabile che nel 2014 la coltivazione sia ulteriormente aumentata», aggiunge l’ispettore generale Justin F. Sopko, e fa notare che con un tale raccolto si possono produrre oltre 780 tonnellate di eroina o morfina, per un valore stimato di quasi 3 miliardi di dollari. Tutto questo, afferma con elegante eufemismo, «mette in questione l’efficacia a lungo termine e la sostenibilità» dei costosissimi sforzi fatti dalle truppe occidentali per bandire la produzione di oppio.

L’Afghanistan produce oltre l’80 per cento dell’oppio prodotto illegalmente al mondo. Province che negli anni passati avevano con qualche successo eliminato la coltivazione del papavero, hanno invertito la tendenza e sono tornate a coltivarlo. Il rapporto del Sigar fa notare in particolare che, nelle zone sud-occidentali del paese, almeno 200mila ettari di terreni sono stati resi coltivabili grazie un piccolo boom nella tecnologia per pompare acqua da pozzi profondi – e in buona parte sono stati coltivati a papavero.

Le autorità americane ora si chiedono cosa non abbia funzionato nella strategia per contrastare la produzione di oppio, dove si sono alternate le campagne di «eradicazione», con operazioni a tappeto per andare a estirpare le piantagioni, e i programmi di incentivi agli agricoltori per spingerli a colture alternative. Certo, non esiste una formula magica.

Comprendere l’economia dell’oppio però può aiutare. Intanto, è ben noto che l’export di oppio e soprattutto di oppiacei (eroina, morfina), cioè prodotti con un valore aggiunto, è una fonte di reddito importante sia per forze ribelli (Taleban) che per warlord vicini al governo, o perlomeno alla passata amministrazione di Hamid Karzai. Quando l’Unodc ha diffuso il suo rapporto 2013, l’allora ministro afghano all’antinarcotici Din Mohammad Mobariz Rashidi ha dichiarato che le autorità afghane sequestrano all’incirca il 10% dell’oppio prodotto nel paese, e ha lamentato che alcune «figure potenti» connesse al traffico di eroina non vengono perseguite dalla legge: tutti ci hanno letto un’allusione al fratello dell’ex presidente Karzai, i cui legami col narcotraffico sono sulla bocca di tutti.

Il punto è che il papavero è una coltivazione redditizia, e se per alcuni grandi trafficanti significa soldi e potere, anche per i piccoli agricoltori è garanzia di un minimo benessere. Nella provincia di Ghor, Afghanistan centrale, un paio d’anni fa dichiarata poppy-free, molti son tornati a coltivare papavero, e un reporter del Afghanistan Analyst Network spiega perché. Un agricoltore può raccogliere 30 chili di oppio grezzo per ettaro di terra, che vende per circa 200 dollari al chilo: lo stesso ettaro di terra può produrre 2.800 chili di grano, che si vende a 50 centesimi al chilo. Dunque quell’ettaro frutta 6.000 dollari in oppio, oppure 1.400 con il grano. A queste condizioni non c’è derrata agricola che possa competere. Anche se certo l’Afghanistan paga un prezzo altissimo.

L’economia dell’oppio alimenta corruzione e rafforza il potere di warlord – “signori della guerra” che dispongono di forze di sicurezza proprie. Alimenta anche un consumo interno che raggiunge ormai proporzioni allarmanti, con qualcosa come un milione di tossicodipendenti da oppio ed eroina, secondo le stime del Unodc. A breve, ha sottolineato l’Ispettore Sopko in una audizione al Senato Usa, «tutte le fragili conquiste fatte negli ultimi 12 anni sullo status delle donne, la salute, l’istruzione, la legge e la governance ora rischiano più che mai di essere spazzate via dal narcotraffico, che non solo sostiene i ribelli ma alimenta anche crimine e corruzione».

L’Ispettore generale non ha analizzato altri capitoli della spesa Usa in Afghanistan – ad esempio il fiume di denaro dato a agenzie private di sicurezza (occidentali, anzi Usa) a cui l’esercito Usa ha appaltato compiti sempre più ampi anche nel campo della lotta ai narcotici.

Esperti del Afghanistan Analysts Network fanno notare che il potere dei warlord si è notevolmente rafforzato nelle regioni rurali del paese – e che gli accordi di sicurezza appena firmati dagli Stati uniti con il neo-eletto presidente afghano evitano di mettere un freno alle forze paramilitari che la Cia ha sostenuto negli ultimi 13 anni (per delegargli il lavoro sporco). Il traffico di oppio rientra in questo quadro: e ci vorrà ben più di distribuire qualche sacco di sementi di grano agli agricoltori per modificare l’economia dell’oppio.

(pubblicato il 23 ottobre 2014 su Pagina99.it)

@fortimar