Quando l’India negò il brevetto a Novartis

Per capire la portata delle guerre commerciali attorno ai farmaci vale la pena di ricordare la lunga battaglia legale che ha coinvolto Novartis in India: e che si è conclusa con la sconfitta della multinazionale svizzera.

Il 1 aprile 2013 la Corte Suprema indiana ha respinto in modo definitivo la richiesta di Novartis AG per il riconoscimento del brevetto sul suo Glivec (o Gleevec, nome commerciale di un principio attivo chiamato imatinib), farmaco usato nel trattamento della leucemia.

Dunque ora le aziende farmaceutiche indiane sono libere di produrre e distribuire legalmente versioni equivalenti («generiche») del farmaco, a tutto vantaggio dei circa 300 mila pazienti leucemici del paese. Un mese di trattamento con il Glivec costa 1.900 dollari per paziente, contro 175 dollari con il farmaco generico prodotto in India: non è una differenza da poco, e tanto più in un paese dove due terzi della popolazione vivono con meno di 2 dollari al giorno.

La sentenza Novartis ha implicazioni che vanno oltre il Glivec, e oltre l’India stessa. Quella sentenza farà giurisprudenza nei futuri casi di richieste di brevetto. Le ricadute sono sia di principio che molto pratiche: in gioco è la possibilità per l’industria farmaceutica indiana di continuare a produrre legalmente i generici, e anche il ruolo dell’India come fornitore di medicinali «low cost» ai paesi in via di sviluppo.

La vicenda del Glivec è esplosa nel 2005, quando in India è entrata in vigore una nuova legge sui brevetti, per adeguare la legislazione nazionale ai trattati mondiali sulla «proprietà intellettuale» (Trade-related intellectual property rights) firmati nell’ambito dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc): New Delhi fino ad alloranon aveva mai riconosciuto brevetti sui farmaci. La legge indiana però stabiliva che non sia riconosciuto il brevetto a nuove forme di una sostanza già nota, a meno che abbiano caratteristiche sostanzialmente diverse, per esempio un’aumentata efficacia.

Era una clausola contro i «sempreverdi»: si dice così quando, per prolungare un brevetto vicino a scadenza, l’azienda produttrice fa qualche modifica minore (magari nel dosaggio o nella formulazione) e poi ripresenta il vecchio farmaco come una novità.

In base a quella legge nel 2006 dunque l’Ufficio dei brevetti indiano ha respinto la richiesta di Novartis per il suo Glivec. L’azienda farmaceutica svizzera ha fatto ricorso e la causa è durata sette anni, finché la sentenza della Corte Suprema ha chiuso la questione: ha stabilito che il farmaco non soddisfa «i requisiti dell’invenzione innovativa e della brevettabilità».

L’industria farmaceutica indiana ha una tradizione consolidata nella produzione di generici di qualità. Dagli antiretrovirali ai farmaci per cardiopatie, anti-tumorali, antibiotici o antimalarici, le farmaceutiche indiane producono ottime versioni generiche di centinaia di medicinali, assai diffusi sia sul mercato interno (secondo alcune stime meno del 10% dei farmaci venduto in India è coperto da brevetto), sia su quello internazionale. Una delle aziende più antiche, la Cipla con sede a Bombay, nel 2001 ha messo sul mercato le versioni generiche dei tre farmaci anti-retrovirali usati in terapia combinata per i pazienti positivi al virus Hiv/Aids, combinandole in un’unica pastiglia: così il costo di un anno di terapia-tipo passava dai 7.000-11mila dollari all’anno per paziente con i farmaci sotto brevetto, a 350 dollari con il Triomune Cipla.

L’India è diventata così la «farmacia del mondo». Ha esportato farmaci generici per circa 13 miliardi di dollari nel 2012, e non solo nei paesi in via di sviluppo: viene dall’india il 40% dei generici venduti negli Usa. Ma proprio qui ha le farmaceutiche indiane hanno trovato qualche problema: alcuni mesi fa la Food and Drugs Administration, agenzia governativa per il controllo di cibo e farmaci, ha bandito i prodotti di Ranbaxy, una delle maggiori esportatrici indiane – dice che nei suoi stabilimenti l’igiene non è adeguata. Ora chiede all’India di collaborare nella definizione di stardard di qualità. La questione è aperta, e in India molti sono convinti che la Fda, spinta dalle industrie farmaceutiche nazionali, abbia trovato il pretesto per disfarsi della concorrenza indiana.

Quanto a Novartis, non sembra che abbia dato corso alla sua minaccia di ritirarsi dall’India. In fondo, con o senza la concorrenza dei generici, il subcontinente resta promettente: l’agenzia di analisi finanziaria PricewaterhouseCoopers stimava che il settore farmaceutico indiano, valutato quasi 16 miliardi di dollari in vendite nel 2011, sfiorerà i 50 miliardi nel 2020.  E quale azienda rinuncerebbe a occupare quel mercato?

(pubblicato il 7 marzo 2014 su Pagina99.it)

@fortimar