L’India annuncia un ambizioso piano sul clima: più rinnovabili, più foreste. Ma il carbone, allora?

Anche l’India ha annunciato il suo piano di impegni sul clima, in vista della conferenza mondiale convocata dall’Onu a Parigi in dicembre. Una delle grandi «economie emergenti», e oggi terzo paese emettitore di gas di serra in termini assoluti, l’India è l’ultimo tra i grandi paesi ad annunciare cosa intende fare per combattere il cambiamento del clima. Nel suo piano, New Delhi si impegna a generare il 40% della sua energia con fonti rinnovabili entro il 2030, e diminuire l’intensità di emissioni del suo Prodotto interno lordo (“intensità di emissioni” vuol dire la quantità di anidride carbonica, il principale dei gas responsabili del riscaldamento dell’atmosfera terrestre, generata per unità di Pil): per il 2013 sarà tra il 33 e il 35 per cento al di sotto del livello del 2005.

Dunque bruciare meno combustibili fossili, e usare l’energia in modo più efficiente. Inoltre l’India si impegna a proteggere e ripristinare la copertura forestale, in modo che nel 2030 arrivi ad assorbire tra 2,5 e 3 miliardi di tonnellate di CO2.

«Anche se l’India non è parte del problema, vuole essere parte della soluzione», ha detto il ministro dell’ambiente indiano Prakash Javadekar, presentando il piano (Intended Nationally Determined Contribution, Indc), ora inoltrato formalmente al segretariato della Convenzione Onu sul cambiamento climatico.

In effetti l’India non è tra i grandi inquinatori, se consideriamo le emissioni pro capite. Con una popolazione di 1 miliardo e 200 milioni (di cui circa un terzo vivono in povertà assoluta, le sue emissioni storiche a oggi sono sotto il 3 percento del totale globale. Casomai, è tra i paesi che subiscono l’impatto del cambiamento del clima molto più di quanto contribuisce a provocarlo. «Il mondo sviluppato deve assumere la responsabilità morale per lo stato del mondo oggi», ha detto ancora Javadekar (citando anche Papa Francesco).

Ma certo, l’economia cresce, e la popolazione arriverà a 1,5 miliardi nel 2030: «si stima che più di metà dell’India sia ancora da costruire», ha aggiunto il ministro. Il governo indiano non ha ancora fatto previsioni su quando le sue emissioni di gas di serra potranno raggiungere il picco. Il primo ministro Narendra Modi ha più volte ripetuto che l’India non accetterà limitazioni al suo sviluppo economico in nome di un accordo sul clima.

E però anche l’India riconosce che il cambiamento del clima ha (e avrà sempre di più) un impatto notevole sulla sua stessa economia e accetta di investire per adattare settori vulnerabili come l’agricoltura, le risorse idriche, le regioni costiere, la sanità e la gestione dei disastri. Ma insiste: avrà bisogno del sostegno della finanza e della tecnologia internazionale per raggiungere questo obiettivi (tecnologie e soldi sono sempre un tema caldo ai vertici Onu sul clima).

Il piano annunciato dall’India è stato accolto in modo in genere favorevole, da parte ambientalista. «Un piano ambizioso, soprattutto su energie rinnovabili e foreste», secondo il Centre for Science and Environment, una delle più autorevoli organizzazioni indiane per la giustizia ambientale: «Riflette le sfide dello sviluppo, le aspirazioni del gran numero di persone in povertà, e le realtà del clima».

Il Cse osserva che l’India si è data obiettivi perfino più ambizioni della Cina. In particolare, l’impegno a produrre il 40% dell’energia da fonti non fossili: se realizzato, secondo le proiezioni del Cse, nel 2030 l’India avrà la capacità di produrre circa 250-300 GigaWatt di elettricità solare e eolica. Ancor più ambizioso l’obiettivo per le foreste.

Se questo piano sarà realizzato, osserva il Cse, nel 2030 le emissioni totali dell’India potrebbero ragiungere 4,5 o 5 miliardi di tonnellate, ovvero 3,5 tonnellate pro capite – quelle di un cittadino americano o cinese sono previste intorno alle 12 tonnellate.

Secondo Pujarini Sen, di Greenpeace India, gli obiettivi del piano indiano rispondono alle aspettative di “giustizia climatica”, perché le persone più vulnerabili al cambiamento del clima sono proprio qui. Ad esempio, osserva, sistemi decentralizzati di energie rinnovabili daranno a circa 300 milioni di persone oggi fuori dalla rete la prima opportunità di avere l’energia elettrica.

Naturalmente, tutto sta a realizzare questi obiettivi. Per vederli in pratica converrà spostarsi tra le foreste dell’India, dove l’industria mineraria continua la sua espansione, o nelle città sempre più intasate di automobili. Greenpeace si chiede ad esempio perché il governo progetti nuove centrali a carbone per 170-200 GigaWatt: tanto più che, secondo molte previsioni, tra qualche anno produrre energia con il solare sarà più economico che con il carbone.

Del resto, anche a prendere sul serio i piani sul clima annunciati finora, il pianeta non è fuori pericolo. Alcuni gruppi di ricercatori europei hanno analizzato gli impegni presi finora dalle 140 nazioni che hanno già presentato i propri piani (esclusa l’India, 141esima): mostrano che sulla base degli impegni presi finora, entro fine secolo la temperatura sulla superficie terrestre aumenterà di 2,7 gradi centigradi rispetto al livello pre-rivoluzione industriale. Il fatto è che tra gli scienziati c’è consenso sul fatto che +2° sia la soglia di pericolo, e nei passati vertici sul clima i governi si sono impegnati a non superare quella soglia. Insomma, l’obiettivo resta lontano.

 

@fortimar