Lo smog avvolge il Sud-est asiatico. In Indonesia torna la «crisi degli incendi»

Una coltre di smog ristagna da oltre un mese su una buona parte del Sud est asiatico. Città avvolte nella nebbia, i famosi grattacieli di Kuala Lumpur (Malaysia) appena visibili, bambini che tornano da scuola con le mascherine. Qui la chiamano haze, «foschia»: clamoroso understatement per un mix nocivo di fumo e smog che sta provocando una crisi ambientale di portata internazionale.

Tourists take a selfie against Malaysia's landmark building Petronas Twin Towers shrouded with haze in Kuala Lumpur, Malaysia on Saturday, Sept. 26, 2015. Malaysian authorities reported four areas in Peninsular Malaysia hits an unhealthy API (air pollution index). (AP Photo/Joshua Paul)

Le famose Torri Petronas a Kuala Lumpur, Malaysia, 26 settembre 2015

A Singapore e in Malaysia gli indici di inquinamento atmosferico segnano pericolo; nell’ultimo mese le scuole sono state spesso chiuse, molti voli aerei sospesi per scarsa visibilità. In Indonesia sei province hanno dichiarato lo stato d’emergenza, con oltre 130mila persone affette da crisi respiratorie. L’area colpita va dalla Thailandia meridionale a ovest, fino alle Filippine centrali a est.

 

Tutta la regione ora punta il dito sull’Indonesia. Sotto accusa sono gli incendi che divampano nell’arcipelago, in particolare Sumatra e Kalimantan (la parte indonesiana del Borneo). Centinaia, migliaia di incendi, come mostra questa mappa,  che mostra gli “hotspot”, gi incendi attivi, segnalati dai satelliti della Nasa.

«Abbiamo dispiegato tutte le nostre risorse per spegnere gli incendi», ha detto giorni fa alla stampa il capo dell’Agenzia nazionale per i disastri, a Jakarta. In questo momento 22mila soldati sono dispiegati a spegnere gli incendi, informa il governo di Jakarta, aiutati da 17 elicotteri-cisterna. Quest’anno il governo indonesiano ha già speso quasi 35 milioni di dollari.

Militari in servizio anti incendio a Riau, Indonesia settembre 2015

Militari in servizio antincendio a Riau, Indonesia, settembre 2015

Ma l’alto funzionario ha ammesso che le autorità sperano nelle piogge di novembre per mettere fine alla «foschia».

Il presidente indonesiano Joko Widodo ha dichiarato alla Bbc la scorsa settimana che l’Indonesia sta affrontando il problema degli incendi, ma ci vorranno tre anni per vedere i risultati.

Il fatto è che gli incendi sono legati a due problemi strutturali in Indonesia: la deforestazione galoppante e l’impunità di molte grandi aziende agroindustriali. Quel che è peggio, scienziati e meteorologi prevedono che la stagione secca si prolungherà oltre il normale, e già molti temono una crisi più grave. Vediamo perché.

 

La «stagione della foschia»

La «foschia» è una ricorrenza annuale in Indonesia. Tra luglio e ottobre è la stagione asciutta e bisogna ripulire i terreni e preparare la semina, prima delle piogge che arrivano tra fine ottobre e novembre. Una vecchia pratica contadina è bruciare le stoppie, o la vegetazione spontanea sui terreni da preparare: slash and burn, taglia e brucia. Ormai però non si tratta più solo di piccoli contadini.

Scolari a Jambi, Indonesia. Setembre 2015

Scolari a Jambi, Indonesia. Settembre 2015

Da una ventina d’anni ad appiccare gli incendi sono anche (o soprattutto) grandi aziende agroindustriali, quelle delle piantagioni di palma da olio, o di alberi per cellulosa, o altro.

Bisogna pensare che Sumatra, Kalimantan, o anche West Papua, regioni di immense foreste, sono state pensate come riserve di materie prime da «colonizzare», secondo la visione dei dirigenti indonesiani fin dall’indipendenza del paese oltre 60 anni fa. Nel corso dei decenni sono stati mandati “trasmigranti” dalle isole più popolose dell’arcipelago, a tagliare foreste e coltivare. Il governo ha dato gigantesche concessioni prima all’industria del legname, poi a quella delle piantagioni intensive. (Una storia di sfruttamento selvaggio delle risorse e degli umani, di clientele e di corruzione, che ho cercato di ricostruire in L’Indonesia si brucia le foreste)

Dagli anni ’90 ormai la palma da olio è la principale agro-industria: e le piantagioni intensive sono estensioni enormi, difficili da immaginare –  spesso centinaia di ettari per volta, a volte di più. Grandi aree sono via via destinate alla  «conversione» – eufemismo burocratico: vuol dire “convertirli” in piantagioni, tagliando la vegetazione spontanea; dopo averne estratto gli alberi di valore commerciale vengono ripuliti col fuoco perché è più veloce ed economico che farlo con mezzi meccanici.

Foschia nel villaggio di Pulau Mentaru. a Jambi, Sumatra

Foschia nel villaggio di Pulau Mentaru. a Jambi, Sumatra

Sono incendi giganteschi, a volte sfuggono al controllo. Generano un fumo denso che si muove con il vento (in questa stagione soffia da sud-est verso nord-ovest); quando raggiunge zone urbane o industriali intrappola le particelle inquinanti e diventa micidiale per la salute di chi respira.

Beninteso, appiccare questi incendi è vietato dalla legge in Indonesia almeno dalla famosa crisi degli incendi del 1997-98, quando lo smog ha ricoperto per settimane l’intera regione: quell’anno bruciarono 10 milioni di ettari di cui almeno metà foreste, con danni per oltre 10 miliardi di dollari di allora tra infrastrutture, trasporti e turismo paralizzati, mancata produzione industriale, spese sanitarie. Le cronache di quest’ultimo mese assomigliano in modo impressionante a quelle di allora: anche allora il governo (c’era ancora il dittatore Suharto) dovette ammettere che la mappa degli incendi ricalcava quella delle grandi piantagioni industriali.

 

Ma bruciare tutto costa meno

Il divieto di appiccare incendi però è aggirato in modo sistematico. Sia perché polizia, pompieri e servizi forestali mancano di mezzi e risorse per controllare aree immense; sia perché giocano complicità, connessioni di potere, corruzione.

Un ex capo della polizia di Riau (Sumatra centrale) ha spiegato al settimanale Tempo che le aziende agroindustriali appiccano incendi perché «ripulire i terreni con il fuoco costa meno» ed è più veloce. Così inoltre evitano di spendere per riforestare, spiega l’ufficiale; ogni azienda titolare di una concessione è tenuta per legge a ripiantare alberi, ma «molte non ripiantano affatto, e per non venire scoperte bruciano tutto». Oppure c’è il caso delle piantagioni di palma da olio, che per mantenere la produttività devono periodicamente tagliare le palme troppo vecchie e ripiantare: a norma di legge quelle tagliate vanno bruciate su piattaforme di cemento, per evitare che il fuoco si propaghi, ma costerebbe troppo.

L’ex capo di polizia dice che lui riunirebbe tutti i titolari di concessioni per «avvertirli che appiccare incendi è un rischio penale, politico, sanitario e ambientale».

Incendi incontrollati, Kalimantan, Indoneia

Kalimantan, Indonesia

L’Indonesia è stata l’ultima nazione del sud-est asiatico a ratificare, nel settembre 2014, il Trattato sull’inquinamento transfrontaliero da smog (Asean Agreement on Transboudary Haze Pollution), adottato dagli stati della regione dopo la crisi del 1997-’98. Il trattato parla di cooperazione internazionale, ma anche di responsabilità legali.

Sotto pressione, il ministero dell’ambiente di Jakarta ha annunciato venerdì di aver preso provvedimenti legali verso 4 aziende agro-industriali, mentre altre 200 o più sono sotto indagine. La scorsa settimana anche Singapore ha aperto una procedura verso 5 grandi aziende.

Una di queste è Asian Pulp and Paper (App), la più grande azienda mondiale produttrice di cellulosa, carta e imballaggi: il suo “manager per la sostenibilità” ha subito precisato che App lavora su una politica “zero incendi” – ma ha anche detto che oltre 10mila ettari di piantagioni della App sono bruciati da agosto, per un valore di 75 milioni di dollari in legno perso.

 

Deforestazione e effetto serra

Tutto questo mentre si prepara un nuovo vertice delle Nazioni unite sul clima, in dicembre a Parigi, forse quello che porterà a un nuoco accordo globale. Greenpeace ha criticato il piano nazionale sul clima presentato dall’Indonesia: sostiene che non contiene veri impegni a mettere fine alla deforestazione, né misure per la protezione le foreste torbiere, né per mettere fine agli incendi. Eppure circa un terzo delle sue emissioni di gas di serra si devono alla perdita delle foreste.

Ora decenni di deforestazione e di sfruttamento selvaggio delle foreste dell’Indonesia stanno portando a una nuova crisi degli incendi. E se è vero che le condizioni climatiche sono simili a quelle del 1997, come affermano scienziati della Nasa, nel Sud-est asiatico si prepara un disastro di proporzioni maggiori.

 

@fortimar