«Non sono un tecnico». Lo scaricabarile dei dirigenti della miniera turca

 «Non sono un tecnico o un esperto di sicurezza sul lavoro. Sono solo un dirigente … non posso essere considerato responsabile per l’incidente». Sono le parole di Can Gurkan, amministratore delegato della miniera di carbone di Soma, in Turchia, dove un anno fa 301 persone sono morte nel peggior disastro industriale della Turchia moderna: un trasformatore è esploso, è scoppiato un incendio sotterraneo che ha riempito le gallerie di monossido di carbonio, le misure di sicurezza non hanno funzionato. Il dirigente aziendale ha pronunciate queste parole mercoledì ( riferisce l’agenzia France Presse), al processo in cui è imputato di «omicidio con probabile intento criminale» insieme al manager generale Ramazan Dogru e altri sei dirigenti del Soma Komur group, l’azienda proprietaria di quella miniera. Per loro l’accusa ha chiesto 25 anni di detenzione moltiplicati per le 301 vittime – fanno oltre 7500 anni ciascuno. Altre 37 persone sono imputate di omicidio per negligenza.

Il disastro di Soma ha distrutto oltre trecento famiglie e messo in evidenza la mancanza di misure di sicurezza nell’industria mineraria turca, ma ha anche rivelato un atteggiamento di noncuranza dei dirigenti: a cominciare dall’allora premier (oggi presidente) Tayyp Recep Erdogan, che in quelle ore  commentò «disastri così succedono ovunque», sollevando indignazione.

Ieri iI dirigenti aziendali sono entrati in aula protetti da centinaia di poliziotti. Lunedì, in apertura del processo, non si erano presentati nella cittadina di Akhisar, a 50 chilometri da Soma, dove un centro culturale è adibito a tribunale per accomodare tanti imputati e centinaia di parenti delle vittime.  Adducevano «motivi di sicurezza», volevano testimoniare in videoconferenza, e anche questo ha scatenato la rabbia dei parenti delle vittime. Di fronte alle proteste i giudici hanno ingiunto loro di presentarsi di persona. (Anche così. ieri l’ex amministratore delegato Gurkan ha fatto leggere la sua deposizione da un impiegato).

Gli avvocati della difesa porteranno in aula anche un video proveniente dalla telecamera a circuito chiuso della miniera, finora inedito: mostra le prime fasi della tragedia e la confusione dei soccorsi (ottenuto dalla Bbc, si può vedere qui).

La protesta dei familiari davanti al tribunale, 15 aprile 2015, Turchia

La protesta dei familiari davanti al tribunale, 15 aprile 2015, Turchia

Un’occupazione pericolosa

Quando ha detto che «incidenti così succedono ovunque», Erdogan ha citato i disastri avvenuti in miniere dell’Inghilterra nella prima metà dell’800, due secoli fa. Grottesco: oggi tecnologie più moderne hanno reso il lavoro in miniera molto più produttivo e meno insicuro. La miniera resta però tra le occupazioni più pericolose al mondo.

Secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro (Oil), organismo delle Nazioni unite, all’estrazione mineraria lavora circa l’1 per cento della forza lavoro mondiale, cioè circa 30 milioni di persone; ma avviene qui circa l’8 per cento degli incidenti mortali sul lavoro.

Le miniere di carbone contano circa 10 milioni di lavoratori al mondo nelle imprese formali. Poi però ci sono quelle informali: un numero imprecisato (almeno 6 milioni, dice l’Oil) di persone lavora in miniere su piccola scala, o artigianali, più o meno illegali. In certi paesi ci sono molte più persone occupate in miniere artigianali, spesso informali (per non dire abusive), che nel settore formale. Inutile dire che nel settore informale le condizioni di sicurezza sono più aleatorie e gli incidenti sono sei o sette volte più frequenti che nel settore formale, sempre secondo l’Oil.

Oggi si producono oltre 6.085 milioni di tonnellate di carbone al mondo ogni anno, e 1.042 milioni di tonnellate di lignite. I maggiori produttori sono, nell’ordine, Cina, Stati uniti, India, Australia e Sudafrica. Quasi tutto il carbone è usato dove viene estratto, solo il 15 per cento viene esportato.

Perché estrarre carbone è così pericoloso? Le miniere possono essere sotterranee o superficiali, a cielo aperto, dipende da quanto sia profondo il giacimento e dalla conformazione del terreno: e ciascun metodo di estrazione può essere condotto su scala più o meno grande.

Il 60 per cento del carbone mondiale è estratto da miniere sotterranee, tunnel lunghi chilometri e profondi decine, a volte centinaia di metri – come quella di Soma. I pericoli sono il crollo dei tunnel, l’avvelenamento da monossido di carbonio o grisù (miscela di metano e altri gas incolori e inodori, tipico delle miniere di carbone o di zolfo), le esplosioni, gli incendi. Oggi il rischio dovrebbe essere minimizzato da impianti di ventilazione, sistemi antincendio, migliori puntelli nella volta dei tunnel. Eppure centinaia di minatori continuano a morire ogni anno in tutto il mondo.

Poi ci sono le miniere a cielo aperto, quando i giacimenti sono superficiali. Possono coprire aree di parecchi chilometri quadrati; spesso si presentano come grandi crateri aperti nel terreno, dove si lavora con scavatrici e pale meccaniche. Oppure «scoperchiano» sommità di montagne (mountaintop removal mines). Nel mondo intero circa il 40 per cento del carbone è estratto a cielo aperto. Negli Usa grandi miniere a cielo aperto estraggono carbone del tipo bituminoso, e anche nelle regioni minerarie dell’India. Anche questo provoca grandi problemi ambientali e per la salute umana: la polvere di carbone che vola finisce nei polmoni dei lavoratori e degli abitanti; quando la miniera ha esaurito la sua vita attiva il terreno resta dissestato.

Che sia sottoterra o a cielo aperto, per i minatori e le persone che respirano le polveri il pericolo sono malattie croniche ai polmoni come la pneumoconiosi (detta «black lungs», polmoni neri).

Nonostante gli avanzamenti tecnologici, ogni anno le miniere fanno migiaia di morti. Il record va alla Cina, che ha il più alto numero di morti in miniere di carbone al mondo. Le statistiche ufficiali parlano di 6.027 morti nel 2004 (contro 28 nello stesso anno negli Usa: la Cina produce il doppio del carbone degli Stati uniti ma ha un numero di minatori circa 50 volte più alto). Le autorità hanno poi cercato di investire in normative e misure di sicurezza e in effetti il numero è gradualmente sceso fino a poco più di 1.000 morti registrati nel 2013, secondo l’ente statale per la sicurezza sul lavoro (State Administration of Work Safety). Ma non rientrano sempre nelle statistiche gli incidenti che avvengono nell’ampio settore informale. Si stima che fino al 80 per cento delle circa 16mila miniere cinesi sia “non regolamentato”, anche se il governo ha cercato di rimettere ordine, chiudendo miniere abusive e imponendo controlli.

Le attività mirerarie informali del resto sono molto più diffuse di quanto si pensi. E l’esistenza di questa «zona grigia» dell’industria mineraria mondiale rende impossibile valutare davvero quante persone muoiono ogni anno cercando di guadagnarsi da vivere con il carbone.

@fortimar