Soldi sporchi. Potere e violenza all’ombra del petrolio (e della City)

C’è un protagonista negativo: un uomo massiccio, giacca e cravatta, collo taurino, modi da boss. Lo vediamo come piccolo truffatore nella periferia londinese, poi lo ritroviamo come governatore di un importante stato della Nigeria meridionale. Poi c’è il protagonista positivo, un onesto piccolo imprenditore nigeriano che sta lavorando a un documentario sulla corruzione. Nella storia compaiono valigette di denaro e sventagliate di mitra, pozzi di petrolio e finanzieri occidentali. Il nostro protagonista se la vede brutta, i suoi familiari sono minacciati: «Quando combatti la corruzione, la corruzione poi combatte te», diceva lui stesso, qualche sera fa a Roma.

 

Sì, perché questa è una storia vera, raccontata con una graphic novel: «Soldi sporchi. Corruzione, riciclaggio, abuso di potere tra Europa e delta del Niger» (editore Round Robin, marzo 2015), disegni di Claudia Giuliani e testo di Luca Manes e Carlo Dojmi (qui). Lei è una giovanissima disegnatrice all’esordio, ma con un tratto molto efficace. Manes è tra i fondatori di Re:Common, associazione che indaga i nessi tra finanza e sviluppo (erede di una sigla più antica, la «Campagna per la riforma della Banca Mondiale»).

Soldi sporchi è la storia di Dotun Oloko, piccolo imprenditore nigeriano che si ribella alla corruzione e riesce a raccogliere prove su malversazioni, appropriazioni indebite e abusi di potere di cui è stato protagonista James Ibori, ex governatore dello stato di Delta, uno degli stati produttori di petrolio nel delta del Niger.

Ibori, il nostro personaggio negativo, è eletto governatore nel 1999, e ha costruito un sistema di potere personale fondato sulla gestione del petrolio e sulle tangenti. Quando infine l’Unità anti corruzione nigeriana è riuscita infine a incriminarlo (sarà arrestato nel 2010), aveva lasciato buchi colossali nelle casse dello stato, decine di milioni di sterline.

soldi sporchiOloku ha ricostruito soprattutto la gigantesca operazione di riciclaggio che ha permesso al governatore corrotto di reinvestire nella finanza internazionale il denaro sottratto ai cittadini nigeriani, con la  complicità di istituzioni pubbliche e private del mondo occidentale.

«Se cresci in Nigeria lo sai che ci sono élite ristrette che manovrano per arricchirsi. Ma è chiaro che ci devono essere delle complicità, perché il denaro accumulato non resta nel paese», ha detto Oloku venerdì sera a Roma, dove ha patecipato alla presentazione del libro.

Oloku ha seguito la traccia di un fondo di private equity statunitense (agenzia che investe capitali privati), Emerging Capital Partners, che aveva investito in diverse compagnie usate da Ibori per trasferire denaro. Ha scoperto poi che diversi governi occidentali sono investitori nello stesso fondo, incluso il ministero della Cooperazione britannica (Department for international development) e la Banca europea per gli investimenti, Bei, cioè la principale banca di sviluppo dell’Unione europea.

Nel febbraio 2009 infine Dotun Oloku ha consegnato un dossier molto dettagliato al ministero della cooperazione britannico: pensava che avrebbero indagato sulle connessioni tra Ibori e la Ecp e messo fine ai traffici illeciti. Invece non ci sarà nessuna indagine. Lui però si ritrova pedinato, sorvegliato, minacciato – non solo in Nigeria ma a Londra. Incredibile: è stato proprio il ministero britannico a rivelare la sua identità ai signori che lui denunciava.

Oggi Oloku è ancora vivo, Ibori è agli arresti – la storia finisce bene. La polizia nigeriana sta cercando di recuperare i beni di cui si è a appropriato. Il ministero della cooperazione di Londra ha dovuto fare le sue scuse a Oloku. Ma lui è ancora convinto che prima o poi coloro che ha denunciato vorranno fargliela pagare.

 

Sullo sfondo resta un paese devastato, sia dall’inquinamento che da una gestione corrotta e autoritaria. Per decenni l’industria petrolifera ha sversato greggio e bitume nei corsi d’acqua del delta del Niger, fiammate di gas impestano l’aria, fiumi e terreni impregnati, sterili. Poteri autoritari hanno represso opposizioni e proteste, militarizzato il territorio e instaurato un regime di violenza. La corruzione dilaga. «Mia madre è originaria del delta, e quando ero piccolo era bello andare a trovare i parenti», ricorda Oloku: «Oggi sarebbe impensabile, la regione è trasformata, inquinata, posti di blocco, militari, gang armate». Come testimoniano Luca Manes e Luca Tommasini, di Re:Common, che nel 2011 sono andati a visitare il delta del Niger: ne è nato un documentario e un rapporto, Il delta dei veleni, ora ripreso in calce a questa storia di potere, violenza e miseria.

@fortimar