Fukushima distrugge il mito del «nucleare buono»

Poche ore dopo il Grande Tsunami che ha colpito il Giappone l’11 marzo del 2011, il fotoreporter Naomi Toyoda ha preso l’automobile e si è precipitato nella zona colpita. La radio dava notizie catastrofiche, e aveva cominciato a parlare anche di un problema all’impianto nucleare di Fukushima Daiichi, affacciato sulla costa colpita. Per parecchi giorni il fotoreporter ha scattato immagini di coste devastate, case letteralmente capovolte dalla forza dell’onda gigantesca, villaggi cancellati, esseri umani superstiti annichiliti: risulterà poi che lo tsunami ha ucciso oltre 19mila persone. Intanto però seguiva anche la traccia delle radiazioni che registrava con un vecchio contatore Geigy.

L’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi sarà ricordato come uno dei disastri più gravi dell’industria nucleare civile, dopo quello di Cernobyl in Ucraina nel 1986. Ma questo è risultato chiaro solo più tardi: in quei giorni, via via che la gravità dei fatti emergeva, i giapponesi hanno sentito le loro autorità negare, minimizzare, tacere…

Toyoda è tornato più volte nella regione di Fukushima, per rendere conto delle conseguenze del disastro nucleare (ha poi raccolto le sue foto in un libro reportage: Fukushima, l’anno zero, pubblicato in Italia da Jaca Book). Ha raccontato, con parole e immagini, la tragedia anche umana degli abitanti della zona contaminata: per ironia della sorte si tratta di municipalità rurali che avevano costruito nel tempo un modello di vita comunitaria, dedicandosi all’allevamento e all’agricoltura naturale – prima di essere travolte da uno “tsunami di radiazioni”.

Negli ultimi trent’anni Toyoda ha documentato le guerre che insanguinano il Medio Oriente – la Palestina, il Libano, l’Iraq dopo la prima guerra del Golfo, l’eredità dell’uranio impoverito disseminato sul territorio iracheno. Ha sempre accompagnato il lavoro di reporter con l’impegno dell’attivista: come quando nel 2002 ha guidato in Iraq una «Missione di pace dei cittadini di Hiroshima», e poi un team di «monitoraggio ambientale» per l’uranio impoverito. Ha partecipato più volte al viaggio di Peace Boat, organizzazione fondata in Giappone nel 1983 da persone che volevano indagare le responsabilità del loro paese nelle guerre di aggressione in Asia (cominciarono con un viaggio in Corea del sud, Taiwan e Vietnam; oggi girano per il mondo con pacifisti, sopravvissuti del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, studenti di Fukushima).

Il reporter «non può limitarsi a registrare gli eventi. Non puoi pensare che trasmesse le notizie o le foto il tuo compito sia finito», mi ha detto durante una visita in Itaia: «Sono convinto che il lavoro del giornalismo sia anche cercare di contribuire cercare una soluzione. Almeno battersi per fermare la guerra, ad esempio, o svelare i miti che circondano l’energia nucleare».

Già, il nucleare. Il Giappone è l’unico paese al mondo che abbia sperimentato la potenza distruttiva dell’atomica, eppure è anche uno dei paesi più dipendenti dall’industria nucleare per produrre elettricità. Com’è possibile?

«Considera che anche il Giappone stava cercando di produrre la bomba atomica, prima che gli americani lo battessero sul tempo sganciando le bombe su Hiroshima e Nagasaki. Credo che gran parte del mondo, inclusa la maggioranza dei giapponesi, ignori questa circostanza. Considera poi che dopo la guerra il Giappone è entrato saldamente nella sfera di influenza degli Stati uniti. L’Articolo 9 della Costituzione giapponese esclude la guerra, ma siamo in una situazione paradossale: abbiamo una costituzione di pace, ma più di questa contano i trattati bilaterali nippo-americani. Il Giappone si sta riarmando con il consenso e sotto la spinta americana. Le nostre Forze di Autodifesa [le forze armate giapponesi, così chiamate in ossequio alla costituzione di pace, ndr] sono di fatto un esercito, usato come arma puntata per conto degli Stati uniti contro la Corea, la Cina, in passato l’Urss. Lo sviluppo dell’energia elettronucleare in Giappone rientra in questo quadro: per 50 anni abbiamo importato reattori dagli Usa sotto il controllo, direi quasi per imposizione americana. La dottrina dei dirigenti giapponesi è ‘non vogliamo la bomba atomica, ma vogliamo la capacità di costruirla’. Per questo il Giappone si è riempito di reattori nucleari. Dopo lo tsunami e il disastro di Fukushima, alcuni dei nostri dirigenti politici hanno detto chiaro che ‘anche se avremo abbastanza energia elettrica, le centrali nucleari resteranno perché dobbiamo mantenere la nostra capacità atomica’. Ed è ovvio che anche oggi gli Stati uniti danno il loro consenso a questa politica».

Ma i cittadini giapponesi? Come hanno accettato l’idea di un nucleare ‘buono’ diverso da quello di guerra?

«Perfino Hiroshima e Nagasaki sono state usate per propinare ai giapponesi il mito della sicurezza. Per anni hanno detto che le armi atomiche sono una calamità, ma l’energia nucleare è un progresso del genere umano. E che un incidente in una centrale nucleare è impossibile, o almeno in una centrale giapponese. In realtà la tecnologia giapponese non è poi così avanzata e in questi 50 anni sono costellati di piccoli incidenti, ma questo è stato taciuto. Credo che le aziende elettriche e il governo stesso abbiano speso somme colossali per propagandare l’energia ‘sicura’, sull’ordine dei 200 miliardi di yen all’anno», circa 162 miliardi di euro.

controlli sulla radioattività sfollati Fukushima

Controlli sulla radioattività tra gli sfollati di Fukushima

Poi però il disastro di Fukushima ha portato uno shock. «Oggi le province disastrate dallo tsunami, come Iwate e Mihagi, hanno cominciato la ricostruzione, ma Fukushima no», osserva Toyoda: «Spero che il messaggio sia chiaro: gli sfollati della centrale non torneranno a casa, la contaminazione radioattiva resterà a lungo, ben oltre la nostra morte. Del resto i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki continuano ad avere problemi, 68 anni dopo. Sono passati due anni dall’incidente nucleare, ma per Fukushima è ancora l’anno zero. Tra una ventina d’anni toccherà a una nuova generazione capire cosa fare».

Fukushima avrà almeno demolito il mito del ‘nucleare sicuro’?

«Sì, certo. E però… due anni dopo, molti hanno già dimenticato di aver cambiato idea. Per questo credo che sia necessario continuare a parlare di cosa è accaduto e sta ancora accadendo a Fukushima».

(Questa intervista a Naomi Toyoda è stata pubblicata da pagina99, 11 marzo 2014)

@fortimar